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100 giorni a Parigi 2024: l’approfondimento del Consigliere Franco Del Campo

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100 giorni a Parigi 2024: l’approfondimento del Consigliere Franco Del Campo

100 giorni. Anzi, mancano meno di 100 giorni all’apertura dei Giochi di Parigi 2024. L’Olimpiade è -forse- lo spettacolo più globale che esista, ma non è solo uno “spettacolo”. E’ una miniera di valori, di storie, di umanità, di eccellenze, che vincono e perdono, e forse è proprio vero che all’Olimpiade “l’importante è partecipare”. Un po’ meno di 100 giorni ci permettono di riflettere su questo avvenimento straordinario, che conserva un ritmo lungo, antico e sacrale, che ormai sembra così estraneo a una modernità che vive consumando solo rapidissimi istanti. Parigi ospiterà per la terza volta questi “Momenti di gloria”, raccontati nel film di Hugh Hudson nel 1981, sull’Olimpiade di 100 anni fa, del 1924, che vinse quattro Oscar e un Golden Globe, con una straordinaria ed emozionante colonna sonora. Il mondo e i Giochi olimpici, dopo 100 anni, sono radicalmente cambiati. Lo sport è diventato meno “snob” e forse meno ipocrita a proposito della presunzione di dilettantismo (al quale il sottoscritto ha creduto davvero). Cento anni fa all’allenatore professionista fu vietato l’ingresso nello stadio, mentre il ricco ebreo, Harold Abrahams, vincitore dei 100 piani, fece fatica a farsi accettare nell’aristocratica Cambridge. Adesso non abbiamo più di questi problemi, ma ne abbiamo tanti altri. Adesso i Giochi olimpici sono diventati giganteschi, costosi ed ingombranti per le capitali che li ospitano. Ormai rischiano di non essere più “sostenibili”, sia sul piano economico sia su quello ambientale. Se da una parte sono un onòre, con la loro formidabile forza attrattiva, dall’altra sono un ònere, che non tutti riescono a sopportare. I Giochi sono diventati anche l’occasione per ripensare le grandi città che li ospitano, come avvenne a Roma nel 1960. Parigi, dopo il 1900 e 1924, e dopo tante inevitabili polemiche, ha cercato di ripensare sé stessa, dopo esser stata “rivoluzionata”, durante il Secondo Impero di Napoleone III, con il progetto monumentale del prefetto Haussmann, “monotono” e secondo alcuni anche “poliziesco”, non privo di accuse per corruzione e speculazione. L’Olimpiade, però, se non ci si fa travolgere dalla frenesia mediatica, può essere un’occasione per ripensare a sé stessi, sia come individui, sia come città. Questa volta, la promessa è di conciliare e forse riappacificare il centro con le periferie (banlieue), spesso lontane, violente e ribelli. I parigini non ne sono convinti e -dicono- scapperanno in massa per lasciare spazio ai turisti “sportivi”. I prezzi, dalle case al Metrò, aumenteranno vertiginosamente e partecipare, anche solo come spettatori, diventerà un’impresa costosa e quasi un privilegio. Ma l’incubo di Parigi 2024 sarà la minaccia del terrorismo. Una paura di lunga durata, iniziata a Monaco 1972, quando un commando palestinese di “Settembre nero” attaccò la delegazione israeliana e alla fine ci fu una strage. Già a Messico ’68 la violenza politica aveva sfiorato i Giochi olimpici, ma aveva colpito “solo” centinaia di studenti, massacrati da polizia ed esercito. Adesso ci risiamo e la paura riemerge prepotente, quasi per gli stessi motivi, e l’Olimpiade sarà più che mai “blindata”, negando, più o meno sommessamente, il senso profondo della sua “filosofia”, fondata sull’apertura, il riconoscimento e il rispetto dell’altro, su un senso di fratellanza universale che rischia di diventare vuota retorica. 

Non ci sarà alcuna “tregua” alle guerre che si stanno combattendo, ma alla fine -certo- le gare si disputeranno, qualcuno vincerà e salirà sul podio, mentre tutti gli altri saranno abbastanza felici di partecipare, a condizione di non guardarsi troppo intorno, di non badare a sbarramenti e asfissianti controlli di polizia che renderanno il “villaggio olimpico” -forse la parte più bella e divertente dei Giochi- un castello assediato dalla paura, difeso dalla tecnologia e quasi isolato dal resto del mondo. Ma noi continueremo a guardare, a gioire e a sperare che la paura, la retorica, i soldi e la politica non tradiscano -più di tanto- l’anima dei Giochi.

FRANCO DEL CAMPO

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