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FERRARA. Intervista ad Adam Smulevich

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FERRARA. Intervista ad Adam Smulevich

Martedì 20 novembre si è svolta, nella sala dell’Arengo del Palazzo Ducale Estense, la presentazione ufficiale della mostra “Sport, sportivi e Giochi Olimpici nell’Europa in guerra 1936-48”, curata dal museo Mémorial de la Shoah di Parigi e organizzata dal Liceo Scientifico A. Roiti con la collaborazione e il patrocinio del Panathlon Club Ferrara e del Comune di Ferrara. Presenti anche molti Azzurri in rappresentanza della Sezione, a voler testimoniare la nostra vicinanza all’iniziativa e il ricordo di tanti “Azzurri” che in prima persona si sono impegnati in quel periodo, primo tra tutti il grande Gino Bartali.Sala gremita e tantissime autorità presenti, tra i quali il Sindaco del Comune di Ferrara Tiziano Tagliani, il Dirigente del Liceo Scientifico Roiti Donato Sellerie la Presidente Panathlon Club Ferrara, socia della nostra Sezione nonché vicepresidente della Scuola Regionale dello Sport CONI Emilia Romagna e delegato CONI provinciale, Luciana Boschetti Pareschi e il Presidente della SPAL Walter Mattioli. Ospite della mattinata, trasformata in un vero e proprio “incontro con l’autore”, è stato Adam Smulevich, giornalista impegnato presso l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, autore del libro “Presidenti – Le storie scomode dei fondatori delle squadre di calcio di Casale, Napoli e Roma” (ed. Giustina) e, in collaborazione con altri ricercatori e colleghi, fondamentale per l’inserimento di Gino Bartali tra i “Giusti tra le Nazioni” dello Yad Vashem. A margine della presentazione ho avuto la possibilità di intervistarlo, e condivido ora con voi questo breve pezzo (disponibile anche sul mio blog personale). Ciao Adam, vorrei partire da una frase di una tua precedente intervista su Gino Bartali che mi ha molto colpito “è vero che ci sono state tante persone che hanno voltato le spalle ed abbracciato l’indifferenza in quel periodo ma ce ne sono state anche moltissime che non l’hanno fatto. E sicuramente gli sportivi, gli sportivi veri che hanno dei valori profondi, non si sono tirati indietro e sicuramente c’è ancora molto da riscoprire”. “è si, la fibra umana che caratterizza gli uomini di sport emerge spesso nei momenti come questi. Con Bartali la realtà ha superato poi l’immaginazione perché lo spessore e l‘umiltà dell’Uomo ha fatto si che lui abbia sempre parlato poco di quanto fatto in quel periodo, anche con la sua famiglia, tanto più che alcune scoperte sono state pura novità anche per il figlio. Solo l’attenta ricerca ha consentito di scoprire prima l’attività di corriere clandestino, poi dell’esistenza della famiglia Goldemberg, il tassello manacante per inserirlo tra i “Giusti tra le Nazioni” dello Yad Vashem. Tra l’altro è già incredibile l’amicizia di Gino, che veniva da una famiglia delle campagne fiorentine e i Goldemberg, appartenenti alla borghesia mitteleuropea!. Si stima che Bartali abbia aiutato a salvare oltre 800 ebrei ma sappiamo anche che i numeri della Shoah sono spaventosi, furono almeno sessantamila gli atleti che non fecero ritorno da Auschwitz e dagli altri campi sterminio. Di essi oltre 200 erano stati olimpionici, recordman, vincitori di titoli iridati, nazionali, prestigiosi trofei,… esiste anche una stima di questi quanti erano di origine italiana? “La comunità ebraica italiana è molto piccola quindi la percentuale è molto piccola rispetto al totale. Tra gli atleti di alto livello si ricorda, ad esempio Leone Efrati, “Lelletto”, che finì i suoi giorni ad Auschwitz, costretto a combattere già stremato per divertire i Kapò. E parlando di lui si potrebbe aprire tutto il capitolo dei “Pugili del Ghetto”, tra i quali troviamo anche altri esempi di atleti che combatterono il regime, come “Moretto”, che sfuggito alla deportazione rimase a Roma per dare la caccia ai fascisti, o Settimo Terracina, che proprio a Ferrara combatté con la Stella di David sul pantaloncino, fu costretto a scappare negli States e tornò come militare americano per liberare Roma”. La mostra naturalmente presenta anche il rovescio della medaglia, cioè l’utilizzo dello sport come strumento di propaganda dei totalitarismi…

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