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”SPORT IUS SOLI”. La riflessione del Consigliere Nazionale Franco Del Campo

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”SPORT IUS SOLI”. La riflessione del Consigliere Nazionale Franco Del Campo

“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo”. Non lo ha detto il barone De Coubertin, ma Nelson Mandela, 24 anni fa e sapeva di cosa stava parlando. Nei suoi 27 anni di carcere aveva imparato le regole del rugby guardando giocare i suoi carcerieri e aveva praticato la boxe in prima persona. Poi, una volta liberato, nella sua straordinaria opera di riconciliazione della società sudafricana, dopo l’eliminazione dell’apartheid, utilizzò proprio la potenza comunicativa dello sport per riunificare un paese profondamente lacerato. 

Adesso, dopo aver assistito alle meraviglie dell’Olimpiade di Paris2024, e in attesa delle prossime Paraolimpiadi, abbiamo ancora negli occhi la bellezza e l’importanza dello sport nella creazione di una identità molteplice, che si riconosce negli stessi valori. Abbiamo visto, nei volti e nei corpi multicolori, nei sorrisi e nelle lacrime, quello che siamo e soprattutto quello che -forse- saremo. Se ci siamo goduti l’Olimpiade di Paris2024, se siamo stati orgogliosi dei “nostri” risultati, con tante medaglie in tanti sport diversi (questo è probabilmente l’aspetto più importante), se ci siamo esaltati -in particolare- per l’oro olimpico della pallavolo femminile, allora dovremo impegnarci ad allargare quel microcosmo che ci ha fatto conquistare tante soddisfazioni. E ricordiamoci che lo Sport è paradigma del mondo che ci circonda. Recuperiamo, allora, anche un po’ di memoria. Myriam Sylla, una delle “eroine” del volley olimpico, nata a Palermo, come il Presidente Mattarella, da genitori ivoriani, ricorda che è diventata cittadina italiana solo a 15 anni, “ma -aggiunge- io sono sempre stata italiana”, grazie alla generosità dei suoi “nonni speciali”, la famiglia che ha dato lavoro a suo padre. Paola Egonu, veneta, formidabile “schiacciatrice”, nata da genitori di origine nigeriana, diventa formalmente cittadina italiana solo a 16 anni, ma qualcuno ritiene che non abbia i caratteri somatici “giusti” per essere davvero italiana. 

Eppure l’Italvolley femminile, che ha conquistato l’oro olimpico a Parigi, era composta da italiane figlie di italiani, ivoriani, tedeschi, nigeriani, russi, allenate da un filosofo nato in Argentina, scappato dal suo paese per evitare di essere ucciso, come suo fratello, dal regime militare. Non è questa l’Italia che ci piace, meravigliosamente multipla e vincente? E invece no. Perché i bambini nati in Italia da genitori stranieri devono aspettare fino ai 18 anni per diventare formalmente cittadini italiani? Per cattiveria? Per inseguire, come vuole il principio dello ius sanguinis, simile alla limpieza de sangre, che portò i sovrani spagnoli, alla fine del Quattrocento, a perseguitare moriscos e marranos, mussulmani ed ebrei convertiti a forza e poi espulsi dal regno? Per una forma di razzismo, che non dovrebbe esistere e che invece è stato denunciato da Fiona May a proposito di sua figlia Larissa Iapichino?

Adesso discutiamo -di nuovo- se dare o meno la cittadinanza a bambine e bambini nate/i in Italia, che sono e si sentono italiane/i, che sognano di diventare “Azzurri” dello sport e forse vinceranno una medaglia olimpica, ma che di sicuro, con il loro impegno, ci faranno più ricchi e forse più generosi. 

Se non si vuole lo ius soli, che rende cittadini se si nasce in Italia, almeno si renda giustizia a questi bambini/e con lo ius scholae, che dà la cittadinanza dopo la frequenza di un ciclo scolastico, quasi una sorta di allenamento per diventare buoni italiani/e, come vuole lo Sport e la nostra Costituzione.

E allora, “perché no?”.

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