Calcio, Sport e Razzimo. La riflessione del Consigliere Nazionale Franco Del Campo
Una volta non era così. Certo, nel calcio, gli insulti non sono mai mancati, dal più banale, scontato e quasi pudico, come “arbitro cornuto”, a quello, mai svelato del tutto, che provocò la testata di Zidane a Materazzi, nella finale dei Mondiali tra Italia-Francia nel 2006. Ma le cose sono cambiate. Lentamente, inesorabilmente, nel calcio -che è un sismografo sensibilissimo di quello che succede nella società- il razzismo si è fatto strada, soprattutto come conseguenze dell’agguerrita egemonia (culturale?) di una tifoseria che spesso inneggia al fascismo. E’ roba dell’altro giorno. Nel derby Lazio-Roma, in Coppa Italia, con lo scontro tra tifosi laziali e romanisti, con i primi che hanno ostentato, come al solito, saluti a braccio teso. Saluti che non sono “romani”, perché un falso storico, ma a questo punto -se ci fosse un po’ di spazio per l’ironia- si potrebbe definire “saluto laziale”, purtroppo assai condiviso, recentemente, in giro per l’Italia. Forse vale la pena ricordare che nell’antica Roma non si salutava in quel modo. E’ stato l’immaginifico Gabriele D’Annunzio a farlo utilizzare per primo dai suoi “legionari” nell’impresa di Fiume (1919), meglio se con l’estensione del pugnale come protesi. Prima ancora lo si era visto nel colossal “Cabiria” (1914), che aveva ancora D’Annunzio tra gli sceneggiatori, ma divenne obbligatorio con il Regio decreto del 27 novembre 1925, con il divieto della stretta di mano, “borghese” e poco igienica. Ma ritorniamo al razzismo nel calcio, che spesso perseguita i giocatori “neri”. Questa volta, dopo tantissimi episodi, è capitato a Mike Maignan, portiere del Milan nella recente partita contro l’Udinese allo stadio Friuli. Mike Maignan è francese di origini guineane, nato povero, ma ora è ricco e famoso grazie alla sua bravura. Mike Maignan è anche un portiere, abituato alla solitudine per lunghi momenti della partita e dietro alla sua rete sente il rumore della folla, sia i fischi sia gli applausi. Questa volta, però, si è arrabbiato contro chi lo chiamava scimmia e gli faceva il verso. Ha fermato il gioco ed ha denunciato l’ennesimo insulto. Poteva far finta di niente, come succede troppe volte, e invece no. “Sono complici dei razzisti gli spettatori -ha scritto sui social, quando stava aspettando l’areo a Ronchi dei Legionari, proprio in ricordo dell’impresa di Fiume- che hanno visto tutto, ma hanno scelto di tacere”. In poche parole ha denunciato l’omertà di quanti hanno visto e sono rimasti in silenzio. In poche parole, con il suo gesto, ha condannato l’indifferenza, che Antonio Gramsci, messo in galera dal fascismo, odiava. “L’indifferenza -diceva Gramsci- è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”.
Questa volta, però, sembra che l’indifferenza sia stata sconfitta. La condanna da parte del club ospite, l’Udinese, è stata rapida e precisa, del resto i friulani son stati un popolo di lavoratori e di migranti. Almeno un responsabile è stato individuato e rischia -si spera- l’espulsione definitiva dagli stadi. Intanto se ne andato, in silenzio, Gigi Riva, che è stato un esempio ineguagliato di serietà e fedeltà nel calcio. Ricordarlo e seguire il suo esempio sarebbe un buon farmaco contro la peste del razzismo.
franco del campo