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GENOVA. Luigi Campanella, un pezzo di storia della lotta Azzurra

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GENOVA. Luigi Campanella, un pezzo di storia della lotta Azzurra

Un fuori classe della lotta greco romana, uno dei pochi olimpionici al mondo che ancora poteva raccontarti di che azzurro era il cielo sopra lo stadio di Wembley il 29 luglio del 1948, quando, durante la cerimonia inaugurale della XIV Olimpiade, la torcia accese il braciere olimpico e gli applausi del pubblico sommersero lui e tutti gli altri atleti, e Sua Maestà Giorgio VI, il padre della regina Elisabetta, che era solo a pochi metri di distanza. Luigi Campanella detto Luisito, classe 1918, è morto il 6 giugno scorso, nella sua Genova. Fra pochi mesi avrebbe compiuto cento anni. Nel 1945, tre anni prima di andare alle Olimpiadi, con il soprannome “Il Campione”, aveva partecipato alla lotta partigiana ligure nella Brigata Severino e aveva contribuito a liberare Genova dai Tedeschi. Quel giorno di settant’anni fa, alle Olimpiadi di Londra, Luisito sfilò a fianco di un altro grande atleta genovese, l’amico di sempre Garibaldo Nizzola, campione di lotta libera, ma dentro di sé Luisito portava già un peso che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita e di cui solo anni dopo raccontò al nipote Giuseppe: «Garibaldo era figlio del grande Marcello Nizzola. Marcello era stato uno dei miei idoli sportivi, un vero mito della lotta greco romana, fra le innumerevoli medaglie aveva vinto anche l’argento alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932. Ma in città era noto anche per aver aderito fra i primi al movimento fascista e si diceva ne avesse fatto parte attiva sfogando la propria forza fisica sui nemici politici. Nel 1945, subito dopo la Liberazione, vidi Marcello in un bar di Via XX Settembre, accerchiato da chi voleva fargliela pagare. Erano giorni di giustizia sommaria, sapevo che se non fossi intervenuto sarebbe andata a finire male. Allora mi feci largo, lo salutai e lo abbracciai. Eravamo stati prima fratelli nello sport, poi nemici, ma la guerra adesso era finita. Quel giorno, grazie a me Marcello fu risparmiato. Ma due anni dopo, nel 1947, lo trovarono morto con un proiettile alla schiena sul marciapiede di una via cittadina». Questo il peso di Luisito a Wembley quel giorno del ’48, mentre sfilava a fianco di Garibaldo, questo il suo cruccio per gli anni a venire. Lui, un uomo generoso, profondamente buono come solo i grandi campioni sanno esserlo fuori dall’arena sportiva. Nel 2012 ebbi il privilegio di intervistare Luisito Campanella per “Il Secolo XIX”. Ne andavi fiero, Luisito, del mio articolo, ridevi felice mentre mi raccontavi di come, il giorno della sua pubblicazione e per qualche tempo dopo, molte persone che di solito manco ti salutavano ti fermassero per strada, per dirti che lo avevano letto e per congratularsi, e che i tuoi amici del circolo lo avessero addirittura incorniciato e appeso in bell’evidenza ad una parete. Pare sia ancora lì, a far bella mostra di sé e di te, Luisito, e io ne sono davvero onorata. Ora che esisti solo nella nostra memoria, eccoti il mio tributo di parole. È lacunoso ma accettalo lo stesso, non conosco altro modo per rendere testimonianza di una vita straordinaria come la tua.

INGRID VAN MARLE

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